May 15, 2024 Last Updated 2:32 PM, May 6, 2024

Per non dimenticare: 27 Gennaio "Il giorno della memoria"

Pubblicato in Cultura e memoria
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Per non dimenticare, con Giovanna De Angelis: "La Shoah delle donne". “Mio Auschwitz, sposo, mostro fedele che non ammette né separazione, né divorzio, né silenzio…”. Che sia impossibile per i sopravvissuti rimuovere l’esperienza della Shoah, lo conferma ogni singola testimonianza.

Nelle parole di Edith Bruck, riportate da Giovanna De Angelis, si avverte tutto il senso di quest’impotenza: “…convivente invisibile, indivisibile Dio del male”. È il 27 gennaio 1945, i cancelli di Auschwitz vengono abbattuti.

Questo giorno sarà assurto a Giorno della Memoria: “Inizialmente nessuno voleva ascoltare il racconto dei sopravvissuti, c’era una forte resistenza, una volontà di rimozione. Non gli si credeva o più semplicemente si aveva troppo bisogno di andare avanti, di superare gli orrori della guerra appena conclusa”. L’autrice de “Le donne e la Shoah” (Avagliano Editore) sottolinea quanto questo iniziale ostruzionismo fosse rivolto soprattutto alle donne: “I racconti e le testimonianze femminili esplodono solo negli ultimi anni, fino ad ora non ve n’era quasi traccia e diversi sono stati i motivi di questo silenzio”.

Si guardava con sospetto a quelle che erano scampate ai campi di sterminio, si preferiva far calare una coltre di silenzio sulla loro esperienza: “Le si invitava a non raccontare. Se si erano salvate, probabilmente, avevano fornito qualche forma di collaborazione, prestazioni eccezionali, e non solo di tipo sessuale. Erano donne, e questo bastava ad alimentare un forte pregiudizio. Si chiedeva loro di tornare alla vita quotidiana, ci si aspettava che ripristinassero le abitudini consuete. Era meglio non sapere”. Nei campi di concentramento le donne si trovano sole; gli uomini sono per lo più morti, partiti per la guerra o emigrati.

Quando c’era la possibilità di pagare la cifra altissima che il Reich prevedeva per lasciare il Paese, si preferiva privilegiare loro, si era convinti che le donne e i bambini non sarebbero stati toccati. Una convinzione che sarà tragicamente smentita dall’evoluzione dei fatti: “Le donne vissero un’emancipazione temporanea, dura e dolorosa, che non credo abbiano mai rimpianto.

Erano abbandonate, in balia di una situazione infernale, non erano guidate da nessuno, se non dai carnefici stessi eppure, tornare e dover rientrare nei ruoli sociali prestabiliti, come se niente fosse accaduto, è stata per loro un’ulteriore grave violenza”. Nei campi, per sopravvivere, dovettero impiegarsi nelle attività più disparate, operare nei laboratori, nelle manifatture e nelle fabbriche del ghetto, conducendo spesso i propri figli con sé. Le condizioni di lavoro erano durissime e i salari ai limiti della sussistenza. Private della rete familiare che le proteggeva, diedero vita a legami alternativi: si sostengono attraverso accordi di solidarietà, sostituiscono i rapporti parentali con relazioni pseudo- familiari, istituiscono vincoli di amicizia e di adozione.

La condivisione andava dalla cura reciproca dell’igiene agli scambi di informazioni e di oggetti, agli esperimenti di animazione di gruppo con canti, recite e letture di componimenti. Legami caduchi, temporanei, destinati a durare fino alla selezione successiva eppure, in obbedienza ad una qualche legge di natura più consona alla donna che all’uomo, creavano in questo modo una possibilità di resistenza. Nei racconti emergono numerosi i riferimenti alla violazione dell’intimità ad opera degli aguzzini: la costrizione alla rasatura, alla nudità, il continuo scherno davanti alle diverse reazioni per il pudore violato, gli orrendi esperimenti scientifici a cui erano sottoposte, tragedie di gravidanze e maternità stroncate. E proprio il rapporto con i figli, l’identità di madre, è una delle ultime remore, l’ultimo limite psicologico da superare: “Il silenzio, sopportato fino alla fine, è stata una forma di protezione. Hanno scelto di risparmiare ai figli il racconto di quello che avevano vissuto, per non turbarli, per non caricarli di un’esperienza così mostruosa. Hanno vissuto per anni come un senso di colpa il non riuscire a dimenticare, il non saper tornare ad una vita normale. La disperazione e la tristezza erano presenti ma ben nascoste.

Prima di parlare, queste donne, hanno aspettato che i figli crescessero, hanno aspettato di diventare anziane, libere da costrizioni, aspettative e pregiudizi sociali. Quelle che oggi raccontano, sentono il dovere di parlare, prima che si perda definitivamente la memoria di quello che hanno vissuto”. Anche qui c’è una donna che impara a inginocchiarsi davanti all’imperscrutabilità del male…dalla sponda di una rivoluzionaria acquisizione dei mezzi e degli strumenti, per esplorare fino in fondo l’inferno della non- comprensibilità, dell’umiliazione e della sofferenza.(Hetty Hillesum, Diario 1941-43). PER NON DIMENTICARE!! Oggi ricordiamo anche Giovanna De Angelis che ci ha lasciato esattamente un anno fa, dopo aver duramente lottato contro un male incurabile.

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